Enrico_Letta_-_Festival_Economia_2013

La posta in gioco era alta: ne andava di mezzo la credibilità stessa del governo delle larghe intese, accusato più volte di traccheggiare sulle riforme davvero importanti per il Paese (il finanziamento pubblico ai partiti, la riforma della legge elettorale, l’abolizione delle Province, la riforma sul bicameralismo).
La partita si è giocata in queste ore durante il consiglio dei Ministri. Cori di giubilo provengono da Gaetano Quagliarello che sui social network esulta: “e una è andata: abolito finanziamento pubblico dei partiti”; soddisfatto anche Angelino Alfano del Nuovo Centro Destra.
C’è chi, invece, come Beppe Grillo, non si unisce ai festeggiamenti ma chiede al Pd la restituzione dei 45 milioni di euro di rimborsi elettorali.

Negli ultimi giorni una sequela di critiche erano piovute da ogni fronte: a partire proprio dal Movimento 5 Stelle a finire con la Corte dei Conti del Lazio che ha definito “incostituzionali le leggi che hanno reintrodotto il finanziamento pubblico ai partiti dal 1997 in poi”.
La Corte, infatti, ha ricordato che nel 1993 un referendum popolare disse no ai finanziamenti pubblici ai partiti e che la volontà del popolo non fu rispettata. I partiti, infatti, continuarono a ricevere fondi pubblici sotto forma di rimborsi elettorali e non più tramite i finanziamenti pubblici.
Fu usato quindi un espediente semantico (rimborsi e non finanziamenti) per esprimere in realtà la stessa sostanza che è rimasta immutata.

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