Avvocato e sindaco di Davao City dal 1988 al 2016, il nuovo presidente della Repubblica delle Filippine Rodrigo Duterte, 71 anni, ha stravinto alle elezioni del 10 maggio 2016 con un vantaggio di oltre 6 milioni di voti annunciando, fin dall’inizio, di voler cambiare la Costituzione per trasformare il suo Paese in un sistema parlamentare federale.

A tal scopo, ha dichiarato guerra alla corruzione ed alla criminalità parlando come l’uomo qualunque in un Paese dove le famiglie d’elite si passano il potere e le disuguaglianze sociali crescono.

Ha vinto le elezioni soprattutto per questo, per il suo linguaggio populista che ha attirato il consenso della popolazione filippina.

Donnaiolo e sessista dalle folli uscite senza ritegno, ha dimostrato la sua misoginia nel 1989 commentando con freddezza, arroganza e volgarità lo stupro e l’omicidio di una missionaria laica australiana avvenuto in un carcere di Davao, quando ancora era sindaco.

In quell’occasione, disse: “C’era questa missionaria laica… tutti quei bastardi l’hanno stuprata mettendosi in fila. Era molto bella, tanto che ho pensato: il sindaco avrebbe dovuto avere la precedenza”.

 

Rodrigo Duterte: le mille sfaccettature del ‘Castigatore’

E’ stato definito dalla rivista statunitense Time Magazine il ‘castigatore’ per la tolleranza zero e le operazioni di ordine pubblico estremamente rigide da lui attuate.

Viene paragonato a Donald Trump per il tono e le parole pesanti (anche nei confronti di papa Bergoglio, in occasione della sua visita nelle Filippine) e senza mezzi termini, seppure Rodrigo Duterte consideri Trump un ‘bigotto’.

Duterte è riuscito a trasformare una città pregna di violenza, malavita e criminalità come Davao City in una città vivibile, oggi la nona più sicura al mondo, usando metodi repressivi e violenti al pari delle bande criminali che ha ‘castigato’. Con i suoi metodi, chiunque ci riuscirebbe.

Le uccisioni extragiudiziarie dell’arcipelago sono cresciute e, parallelamente, la sua politica si è dimostrata sempre più indipendente dall’imperialismo americano aprendo il dialogo a Cina e Russia.

Ha accusato apertamente Stati Uniti e Regno Unito di essere i principali responsabili della diffusione del terrorismo in Medio Oriente avendo seminato il caos in territori una volta pacifici e sviluppati (Siria, Iraq, Libia, Yemen).

A partire dalla sua elezione ed insediamento alla presidenza il 30 giugno 2016, ha avviato la ‘guerra alla droga’, come pure all’uso di alcolici, alle sigarette, imponendo il coprifuoco dalle 22 per i minori non accompagnati, con divieto assoluto di karaoke ad alto volume in piena notte.

Dichiara di agire per il popolo ma, dietro alla sua ‘guerra alla droga’, si cela un crimine contro l’umanità caratterizzato paradossalmente da un continuo accanimento contro i più poveri.

 

Lo spirito di estrema sinistra e lo squadrone della morte

Rodrigo Duterte, nato il 28 marzo 1945 a Maasin, è figlio di un avvocato, Vicente Duterte, e di un’insegnante, Soledad Roa.

E’ vissuto ed ha studiato a Davao laureandosi a Manila, nel 1968, in Scienze Politiche e, nel 1972, in Giurisprudenza. Nel periodo studentesco, fu membro del movimento di sinistra “I Giovani Patrioti”, schierandosi dalla parte di ideali comunisti e anti-statunitensi.

Ha ‘ripulito’ la città di Davao a modo suo. L’ha ammesso lui stesso: “Li ho uccisi tutti” riferendosi alle bande criminali. Ha, poi, ritrattato tale dichiarazione che lascia intuire il suo stretto legame con i cosiddetti ‘squadroni della morte’ (responsabili, secondo Al Jazeera, di oltre 1400 uccisioni extragiudiziali tra cui 132 minorenni, nel periodo compreso tra il 1998 e il 2015).

A Davao erano frequenti gli attentati compiuti da guerriglieri comunisti del Nuovo Esercito del Popolo (NEP). Sfruttando una rete di contatti creata all’epoca in cui capeggiava una banda criminale, Rodriguo Duterte ha organizzato gli squadroni della morte per combattere i terroristi. Non è un sospetto ma una realtà confermata dalla Commissione Asiatica dei Diritti Umani (AHRC).

Un dossier di 124 pagine intitolato “licenza di uccidere”, pubblicato di recente dalla Human Right Watch di New York, inchioda Rodrigo Duterte: questo report accusa la polizia di Manila di avere stretti legami con i cosiddetti ‘uomini armati non identificati’ che, fin dall’inizio della presidenza di Duterte, hanno fatto strage di drogati e spacciatori. In otto mesi di governo, la crociata anti-droga di Duterte ha mietuto oltre 7.600 vittime (di cui 2.500 uccise dalla polizia) ed altre 5.000 uccise dagli squadroni di vigilantes.

 

Un populista accentratore di potere

L’idea di base di Rodrigo Duterte è che, per debellare la povertà, occorre combattere la criminalità aggirando una “giustizia inefficace e corrotta” dando modo alle forze dell’ordine di agire contro i criminali.

E’ stato chiaro: “Dimenticate le leggi sui diritti umani”.

Non accetta lezioni sui diritti umani da nessuno, definisce l’ONU un’istituzione stupida e inutile (all’interno della quale nessuno osa, però, lamentarsi del “puzzo di morte in Siria”) ed ha rivolto il dito medio all’Unione Europea in diretta televisiva.

Ha invitato Cina ed Africa ad allearsi con lui per creare una nuova ed efficiente istituzione transnazionale.

Altrettanto forte e chiaro è stato il suo avvertimento: se i parlamentari non sosterranno le sue proposte di legge, non esiterà ad accentrare nelle sue mani tutto il potere.

Secondo l’opposizione, la salita al potere di Duterte potrebbe portare ad un regime del tutto simile a quello del dittatore Ferdinand Marcos.

Rodrigo Duterte ha affermato di essere “un presidente che vuole la pace con tutti. Il mio compito non è quello di creare conflitti, ma di assicurare che non si verifichi alcun problema nel Paese”.

Mentre parla di ideali di giustizia e ordine, Forbes l’ha incluso nella lista delle persone più potenti del mondo (classificato al 70° posto).

 

Papa, vescovi, giornalisti: figli di puttana

Parvenza da gentiluomo idealista con il popolo che lo elegge, da una parte, e despota spietato che mette in atto crimini contro l’umanità, dall’altra.

Atteggiamento da liberalista favorevole ai matrimoni omosessuali, all’aborto ed alla pianificazione familiare, da un lato, e nemico della Chiesa, dall’altro.

Non ha definito figli di puttana soltanto i criminali ma anche il Papa, i vescovi, i giornalisti con particolare attenzione per questi ultimi: “se sono corrotti meritano di essere uccisi”.

Sui cronisti aggiunge: “Non c’è alcuna libertà di espressione che tenga, se sbagli con qualcuno. Se sei un bravo cronista, però, sei al sicuro”.

Con la Chiesa di Roma ha un rapporto conflittuale. E’ stato battezzato cattolico ma definisce inconciliabile il suo ruolo di politico con quello di fedele. La sua fede, attualmente, è in quarantena. Ha dichiarato di essere stato violentato (“come tutti gli altri”) da un prete durante il periodo studentesco all’Ateneo di Davao University gestito da gesuiti. “L’istituzione più ipocrita al mondo”: questo è la Chiesa cattolica per Rodrigo Duterte e non si risparmia in insulti rivolti ai ‘preti’.

 

Ripristino della pena di morte nelle Filippine?

L’incarcerazione non basta a dissuadere i criminali dal commettere altri crimini: bisogna metterli su una barca, magari in cinque, e abbandonarli in mezzo al Pacifico. I pesci ingrasseranno. Questo vale in particolare per i signori della droga, che continuano le loro attività illecite dietro le sbarre nella prigione di New Bilibid. È meglio lasciarli in mezzo all’Oceano, così gli tocca pescare per il loro cibo”.

Questa è una delle tante dichiarazioni di guerra ai ‘signori della droga’ rilasciate alla stampa da Rodrigo Duterte.

Il 16 maggio 2016 Duterte ha annunciato di voler reintrodurre l’uso della pena capitale nel Paese annullata nel 2006 dall’ex Presidente Gloria Macapagal-Arroyo: in quell’occasione, aveva sottolineato la sua intenzione di utilizzare solo il metodo dell’impiccagione per evitare altri “sprechi di risorse” e di voler conferire alle forze dell’ordine maggior potere consentendo ai poliziotti di sparare a vista su sospetti criminali.

Oltre a tutto questo, Rodrigo Duterte intende abbassare l’età per la responsabilità penale a 9 anni.

La proposta di legge che mira alla reintroduzione della pena di morte per reati legati alla droga è in attesa di approvazione definitiva (data prevista: 7 marzo).

La Chiesa si è appellata ai parlamentari chiedendo di opporsi a questo provvedimento contrario ai valori cristiani.

 

Pena di morte ripristinata: droga sì, stupro no

Data prevista 7 marzo e così è stato.

A distanza di 11 anni dalla sua abolizione il Congresso delle Filippine ha approvato il ripristino della pena di morte per i reati di droga: 216 membri a favore, 54 contro ed un astenuto.

Dalla pena di  morte sono esclusi reati come il furto, lo stupro e il tradimento. Esecuzione per impiccagione, fucilazione o iniezione letale.

 

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