Quando le sculacciate sono giuste
Sculacciate sì, sculacciate no. Su questo argomento ci sono due scuole di pensiero in netto contrasto tra loro, e stabilire quale sia la scelta più giusta non è semplice. Probabilmente, come spesso accade, la verità sta nel mezzo. Ogni tanto qualche sculacciata ci sta, a patto che rientri in un preciso quadro in cui la punizione deve essere architettata a regola d’arte.
Sculacciate sì
Per essere efficace, la punizione deve essere immediata, singolare, motivante, privata, breve, esecutiva e possibile. Ovvero:
- Il rimprovero deve avvenire nel momento esatto della marachella, non bisogna mai rimandare o il bambino non capirebbe l’errore.
- Non deve essere ricorrente ma saltuaria: solo quando serve davvero. Da evitare i rimproveri inutili.
- La punizione non deve umiliare il bambino ma spronarlo a comportarsi meglio la prossima volta, facendogli capire dove e perché ha sbagliato.
- Mai sgridare il bambino in maniera eclatante e in pubblico. Il rimprovero deve avvenire a tu per tu, senza spettatori, o si finirebbe per minare l’autostima del piccolo.
- Non tiratela troppo per le lunghe, ma interrompete la punizione quando il bambino vi dimostrerà di aver compreso l’errore.
- Deve essere vera e concreta. Le punizioni gridate al vento non servono a niente, se non a farle prendere sottogamba dal bambino, che non vi darà ascolto quando vi arrabbierete di nuovo.
- Evitate di tirare il ballo punizioni che non metterete in pratica. Se volete proibire al bimbo di vedere la tv, fatelo davvero.
A ciò si aggiungono le sculacciate. Una ogni tanto può far bene, ma attenzione a non esagerare, o potreste finire per spronare il bambino a fare lo stesso.
Sculacciate no
Dall’altra parte della barricata c’è il fronte del no alle sculacciate. A sostegno di questa posizione ci sono svariati studi che dimostrerebbero come sculacciare i bambini possa danneggiare lo sviluppo psicologico dei piccoli. Non solo, secondo un recente studio canadese verrebbe intaccata anche la sfera dell’intelligenza. A ciò si aggiunge, sempre secondo questa linea di pensiero, la predisposizione a diventare un soggetto violento, come conseguenza dell’interiorizzazione della violenza subita.